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Contemporary Art in Rome
      

Vincenzo Vavuso

E’ probabile che il percorso più attraente per un artista consapevole oggi non sia altro che tentare con intelligenza di riassumere i percorsi disordinati che il XX secolo ha consegnato alla storia delle arti. E cosa rimane oggi di quegli esperimenti? Forse solo i fossili. Oppure i detriti di oggetti industriali che hanno apparentemente esaurito la loro funzione. Vi è infatti una curiosa caratteristica nel mondo del consumismo, che l’ umanità ha intrapreso dopo la rivoluzione industriale. Per la prima volta dagli anni lontani del neolitico, si produce ben di più di quanto non si possa consumare. E se, fino a ieri nell’era lunga dell’artigiano, il prodotto dell’ operosità andava sfruttato fino al suo esaurimento, dalla mutazione industriale in poi il manufatto, non più “fatto a mano” ma diventato di fabbrica, perde la sua unicità, viene sostituito facilmente e si disperde. Ritrova la sua personalità autonoma solo nella fatiscenza, in quanto ogni percorso di produzione è replicabile mentre ogni percorso di parziale consumo torna ad essere individuale. Ogni copia del giornale, identica alle altre quando esce dalla rotativa, diventa autonoma quando si sgualcisce. Ed è in quel momento che interviene l’artista, il vaticinatore che ne sancisce la personalità. L’ uso iniziale è esaurito, almeno apparentemente. Ma rimane pur sempre nel prodotto una rimanenza oggettiva di utilità che si fa residuo di forza poetica. E’ questa rimanenza che viene recuperata da Vincenzo Vavuso per generare un percorso inatteso e creativo. La metodologia non è di per se stata inventata ora: già Marcel Duchamp la aveva individuata andando a segnalare oggetti normali e banali per attribuire loro una dimensione di lettura diversa da quella ovvia. Gli bastava, cent’ anni fa, girare a testa in giù un “pissoir” per farne una fontana, era sufficiente esporre all’ incontrario una ruota di bicicletta sulla sua forcina per farla apparire come una scultura. Il rovescio della realtà era il mezzo apparentemente elementare per generare una pulsione innovativa in chi la guardava. Fu quella una strada che offrì alla psiche ludica di dada una infinita articolazione di opportunità. Man Ray, che si esercitava principalmente nella riproduzione fotografica del mondo che indagava, vi trovò una vasta fonte di ispirazione. Sembrava forse allora il metodo nuovo dell’invenzione essere solamente una sottile provocazione. Non fu affatto così: si rovesciava anche nella fantasia un potente vaso di Pandora dalle mille declinazioni. Furono raccolte queste dalle menti fervide del Nouveau Réalisme parigino dell’ immediato dopoguerra. Hans Tinguely e l’ amico suo Daniel Spoerri andarono a discernervi strade ulteriori. Le loro solo apparenti accozzaglie di oggetti ritrovati al mercato delle pulci si trasformavano i macchine intelligenti e in composizioni nelle quali il contrappunto fra i reperti, talvolta parenti, talvolta inattesi, formavano racconti che andarono ben oltre l’ onirico. Questo è l’onda nella quale Vincenzo Vavuso si è infilato. E lo ha fatto con la consapevolezza di chi appartiene alle generazione successiva. Se quella dei padri era ludica e situazionista, quella recente si trova stimolata da una presa di coscienza ben più contrastante perché ha la sensazione di camminare sul bordo del precipizio della Storia. Il mondo non è più da smontare per essere ricostruito. Il mondo forse è entrato in una fase dove solo la catarsi può essere redenzione. Ed eccolo Vavuso che brucia i residui, ecco che ne frammenta e ne accartoccia le tracce scompigliando le pagine del libro che dovrebbe contenere un sapere ormai inutile. E interpreta fino al parossismo la funzione dell’artista: non può che essere oggi quella del sommo manierista che sul finire del Cinquecento giocava con tutti i temi rinascimentali per farne il filtro d’ una sensibilità rinnovata. Prende quindi il fuoco, che Alberto Burri aveva usato sulle plastiche candide per scoprirne le magie combuste, e lo trasferisce sui reperti. La materia apparente contiene infatti una materia recondita che il fuoco trasmuta o sublima come avviene nel crogiolo dell’ alchimista. E il ruolo di mediatore dell’artista non ne è affatto diminuito: è pur sempre la sua mano che conduce il procedimento fatale come una volta conduceva il pennello, è la sua sensibilità che deve sostenere la complessa bisogna del portare fino ai limiti la materia affrontata in questa domestica Apocalisse. Sorge fatale un cosmo rinnovato e redento. E nell’ esaltazione d’un sano egocentrismo in mezzo a cascami riordinati l’artista torna a manifestarsi protagonista della creazione. Perché vi è alla base dell’intero del suo percorso una sorte di compressione delle sensibilità, una accumulazione silente ma consapevole di sentimenti e di pulsioni segrete. In lui si condensano “rabbia e il silenzio”. Poi viene l’energia del fare e l’implosione esplode nella realizzazione del lavoro. Philippe Daverio

 

L’interesse di Vincenzo Vavuso per le arti figurative deriva dalla dimestichezza con le opere collezionate in famiglia, alla cui acquisizione apprese ben presto a partecipare con la passione che in lui cresceva e si rilevava nei suoi primi disegni e impasti cromatici. Dalla nativa città di Caserta, completati gli studi, si trasferisce a Salerno, ove presta il servizio militare. Qui è sconvolgente l’impatto con le bellezze naturali della Costiera e con le opere dei pittori fioriti e fiorenti in una terra benedetta dalla natura e dalla cultura. Si interessa alle ragioni dell’800 e ai fermenti del ‘900; dipinge e annota le sue impressioni e i frutti delle ricerche, che saranno poi raccolte nel volume “La pittura: l’espressione di noi stessi”, un emozionato excursus tra due secoli, in cui contano gli incontri a distanza ravvicinata con i Maestri delle arti figurative e con le loro opere, affrontate con le vibrazioni dell’impatto diretto. Intanto dal naturalismo e dalla nuova figurazione si concretizza il transito delle scelte formali e concettuali con un impegno che coniuga esigenze estetiche e sociali, per cui, al primo volume cui si è fatto cenno, edito per i tipi di Terra del Sole, si aggiunge “Rabbia e Silenzio”, Cervino Editore, che teorizza l’omonima personale accolta nelle sale del Museo Provinciale di Salerno (2013).  

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Attività Curriculare:

Vincenzo Vavuso vive ed opera a Salerno, il suo Atelier è ubicato nella zona est di Salerno. La sua presenza sulla scena espositiva data dal 2001 e molte delle sue opere figurano in collezioni importanti sia pubbliche che private, oltre che in prestigiose gallerie d’arte. L’artista ha ottenuto riconoscimenti sia in ambito nazionale che internazionale ed è presente in vari cataloghi, enciclopedie e siti d’arte.

Tra le sue più significative personali vanno ricordate:

Nel segno del colore, Galleria La Pergola Arte, Firenze;

Oltre gli schemi, Villa Bruno, San Giorgio a Cremano, Napoli,

Emotion, Galleria La Pergola Arte, Firenze;

L’infinito Oltre, SkineWine, Salerno;

Altrove lo straniero, Maiori, Salerno;

Rabbia e Silenzio, Pinacoteca Provinciale, Salerno.  

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Tra le sue significative collettive vanno ricordate:

Arte a Salerno, Salerno; Giornata del Contemporaneo, Firenze;

Piè Monti, Udine; Colorissimamente, Roma; Avalon in Arte, Salerno;

Pennello d’oro, Dubai (Emirati Arabi).  

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È in possesso di recensioni critiche di:

Angelo Calabrese; Luigi Crescibene; Michele Sessa; Daniele Menicucci; Michael Musone; Massimo Ricciardi; Franco Bruno Vitolo;

Raffaella Ferrari; Immacolata Marino.

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Gli esiti pittorici del validissimo artista, che ha già percorso un luminosissimo “cursus honorum”, sono connotati da esiti pittorici che, in una cifra personalissima, sono trascorsi dalle più significative esperienze artistiche del novecento. Vincenzo Vavuso è un artista consapevole. Nulla è lasciato all’improvvisazione, a furbesche scorciatoie, a distraenti spettacolarizzazioni. Kandinsky aveva affermato: “Niente è più sbagliato che credere che una fedele riproduzione della natura sia arte”. Vavuso sembra aver fatto propria l’enunciazione del grande maestro. La pura rappresentazione mimetica del dato reale, dell’oggettività esterna è tenuta, rigorosamente, distante. L’artista non riporta la concretezza, l’oggettualità mesta e alida, la natura delle cose, ma le leggi che le animano. Riporta la progettualità, la semplificazione, la scomposizione, la ricomposizione e l’accordo. Riporta la sensibilità fondale, le emozioni profonde e larvali, l’esigenza di esserci e di esondare, di smarginare e ritrovare il reale oltre la visibilità apparente, formale, ingannevole, bara. E il colore esultante, scialbato, distillato, acceso, schioccante, sommesso, intenso, modulato, incalzante rimanda, senza falsificazioni, alla percezione più viva, autentica e intima delle cose. Il rapporto tra forma e colore non è stringente, avviluppante, coattivo. La resa artistica è libera, leggera, appena mediata, ma le suggestioni delle correnti espressive del Novecento, non incidono più del necessario. Vavuso asseconda la sua cogente esigenza di cercare, introiettare e riportare il bello. Asseconda l’impeto, l’onda emozionale, ma la sorveglia, la raffrena, la contiene. L’intensa densità della materia, sposa, spesso, accostamenti cromatici vividi, audaci, spavaldi, in una semplificazione di linee e disegni che cercano e trovano l’essenzialità pura, la comunicazione immediata e vera, al di là di strutturazioni esornative, di vieto, bolso e trucido decorativismo. Resta il bello, resta il vero. Resta l’indomabile ansia di andare oltre il visibile, di ritrovare e ripercorrere i “nostos” di allora, di aprirsi i varchi che vanno lontano, tanto lontano, in plaghe inesplorate, in mondi leggeri, diafani e puri fra voli, carezze, bagliori, tremori, edenici abbandoni, silenzio e mistero. “L’oggettivo in se stesso è senza significato … Decisiva è invece la sensibilità, ed è per il suo tramite che l’arte arriva alla rappresentazione senza oggetti …” Cosi scriveva Malevic. E alla sensibilità accentuatissima, alle folte, intricate ed aristocratiche risorse interiori, Vincenzo Vavuso affida il compito, fervidamente lieve, di rappresentare esili articolazioni dello spazio, l’accordo dinamico delle superfici, l’elargizione vibrante del colore, attimi e atmosfere di intensa e morbida concentrazione lirica. I riverberi dell’interiorità in una nuda e confabulante resa essenziale, si fanno sedimentazione pulsante di incanti e passioni, di tensioni, regressioni, trasalimenti, ripiegamenti, magia e malia in trasposizioni di atmosfere rarefatte, dinamiche, limpide, trascoloranti, in sottilissimi giochi di luce, di ombre e colori. Le tralucenti penombre dell’animo.  Prof. Luigi Crescibene

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Il denaro entità suprema cromostruttura n°10

(opera presentata per la Nona Giornata del Contemporaneo Amaci)

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Rabbia e silenzio

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Opere disponibili

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